Testimonianze


TARDI E’ MEGLIO CHE MAI


Sono approdato a questo percorso troppo tardi per poter salvare la mia relazione, ma non per comprendere più in profondità i miei errori ed i motivi per cui le cose non avrebbero potuto funzionare.

Fra i tanti elementi emersi nel corso delle sedute ce ne sono due in particolare che vorrei lasciare come testimonianza.
Innanzitutto, non è possibile avere una relazione sana e felice se non si sta bene con se stessi. Scarsa autostima, incertezza ed instabilità finiscono prima o poi per tramutarsi in mancanza di pazienza, frustrazione ed aggressività.
Vorrei aver avuto la forza di ascoltare i tanti segnali inviatimi da mente e corpo, per iniziare a lavorare su questi aspetti prima di perdere completamente la bussola.
Ritenere che certi problemi arrivino da fuori non porta da nessuna parte: è l’insoddisfazione per il proprio stato a portare negatività nei rapporti, non viceversa.
Il secondo aspetto fondamentale è che in certe situazioni non si precipita dall’oggi al domani, ma si finisce a piccoli passi che portano sempre più in basso.
Pensando oggi ad alcuni dei momenti più brutti della mia relazione, la mia prima reazione è di incredulità: alcuni comportamenti che tenevo all’epoca oltre che del tutto inaccettabili mi sembrano inspiegabili, totalmente remoti dalla persona che credo di essere.
Ai tempi invece erano semplicemente la mia realtà quotidiana, in cui mi ero lasciato scivolare lentamente senza ricevere una scossa abbastanza forte da costringermi a guardarmi allo specchio: tanti gesti, uno più brutto dell’altro, ma talmente piccoli se presi singolarmente da passare inosservati.
In conclusione, l’unico consiglio che posso dare è quello di rimanere vigili e chiedere aiuto appena ci si accorga che qualcosa non va.
Sono contento di averlo fatto: tardi è meglio che mai.
Nel frattempo, il rapporto con la mia ex si è trasformato in un’amicizia, sicuramente un po’ particolare ma ancora viva a distanza di quasi un anno dalla separazione; ho anche iniziato una nuova relazione, che mi ha dato serenità e conferma di aver intrapreso il percorso giusto per tornare a star bene.

Fabio, 38 anni, dirigente

 


LEI ERA PER ME COME UNA SIRENA


Sono nato in Perù, dopo un’infanzia tranquilla, mi sono arruolato nella Polizia di Stato e durante il mio lavoro mi è capitato di ricorrere all’uso della forza e delle armi per difesa personale.
La mia indole però è, sempre stata pacifica e io non ho mai abusato dei poteri che mi venivano concessi da una divisa. Infatti non ho avuto mai lamentele sul mio operato anzi bensì 7 encomi in solo 5 anni di servizio.
Sono venuto in Italia con la mia compagna. Facevo una vita fatta di lavoro e giocavo a calcio nel tempo libero.

Tutto è iniziato nel 2006 quando la mia compagna era incinta.
Ho conosciuto Rosa in discoteca dopo una partita di pallone. La trovavo una donna bellissima.
Anche Rosa è rimasta colpita da me ed era molto più intraprendente di me.
Io non avrei mai preso l’iniziativa mentre lei mi ha proposto di ballare e dopo, con la scusa di uscire a comprare le sigarette, siamo usciti e abbiamo avuto un rapporto sessuale. Era la prima volta che tradivo la mia compagna senza neppure averlo scelto.
Con Rosa è sempre stato così: lei per me era come “una sirena”.
Quella notte non le avevo lasciato il mio numero perché la mia compagna era al sesto mese di gravidanza e io non me la sentivo di rivederla. E’ stata Rosa a ricontattarmi e lo ha fatto nel suo solito modo: mi ha chiamato sul cellulare della mia compagna, che avevo in tasca, mentre lei era in sala parto ed io ero in attesa in ospedale.
Ricordo le sue parole: “vedi che ti ho trovato! so tutto di te so che adesso sei in ospedale.
Siete tutti uguali voi uomini!”.
Avrei dovuto troncare subito ma la mia testa andava a quella notte che avevamo trascorso assieme.
Sono solo riuscito a dirle: “adesso non posso parlare”.
La sua risposta,“voglio vederti” , non ha trovato in me un limite e d’impulso sono solo riuscito a dirle: “anch’io voglio vederti ma adesso non posso”.

Dopo diverse sue chiamate ci siamo visti la notte stessa in cui è nato mio figlio.
Chiamarmi sul cellulare della mia compagna proprio il giorno in cui nasceva mio figlio era proprio il modo di Rosa, abituata a prendersi quello che voleva.
Ma come ho potuto io non dire nulla e assecondarla? Oggi posso dire che “mi ero proprio rincoglionito!”.
Nella relazione con Rosa non sono mai riuscito a dire di No alle sue richieste; e questa è stata l’origine del disastro.
Lei ha capito da subito che poteva fare qualsiasi cosa con me. Un po’ me ne vergogno ma nella relazione con Rosa lei era il cacciatore e io la preda. Non mi sembrava vero che lei mi volesse così tanto.
Giravano voci su di lei ma io non gli avevo dato peso.
A poco a poco Tutta la mia vita è andata a rotoli. Nei 3 mesi successivi Rosa era diventata più possessiva e non le bastava essere la mia amante. “Voglio di più”, ha cominciato a dire.
Faceva scenate di gelosia ma io non le mettevo un freno mi dicevo “Vabbè non è grave”. Nella mia testa c’era solo lei. Non mi sono reso conto che non poteva andare avanti così.
La mia compagna, che aveva intuito qualcosa, dopo un periodo di separazione era tornata con mio figlio in Perù.
Non mi rendevo conto che stavo perdendo tutti i miei affetti. In quel momento Rosa era tutto per me.
Ogni momento libero era riempito da lei ed ero drogato dal sesso con lei. Lei voleva controllarmi in tutto.
In verità era lei ad avere una vita misteriosa.
L’avrei scoperto solo più tardi. In fondo gli amici cercavano di farmelo capire ma io non volevo sentirlo. Quando ho avuto la prova dei miei sospetti non è stato più lo stesso. Non riuscivo ad avere più rapporti come prima ma lei non accettava questo cambiamento . Rosa era fatta così ma io non riuscivo ad accettarlo. Avrei dovuto chiudere la relazione . Non eravamo compatibili. Il mio no è venuto fuori con la violenza.

Rosa spesso mi faceva scenate, mi dava manate e mi graffiava. Io cercavo di calmarla ma quella notte è andata diversamente. E’ stata l’unica volta che ho ricambiato lo schiaffo. Questo è avvenuto in discoteca davanti a tutti.
Avrei dovuto accorgermi da quello schiaffo che le cose stavano degenerando. Sono solo riuscito ad andarmene dalla discoteca tornando a casa. Non sopportavo più che lei mi graffiasse ma non mi sono reso conto di essere arrivato al limite.
Era prevedibile che lei mi raggiungesse a casa. Lei era furiosa di quello schiaffo. Anche lei credo non si era resa conto che stava succedendo qualcosa di diverso a partir da quello schiaffo. Non era il solito litigio dove si finiva a letto.
Abbiamo ricominciato a litigare. Lei voleva buttare via i miei vestiti dalla finestra e io ho chiuso la finestra per evitarlo.
Da dietro lei con tutta la sua forza mi ha dato una botta sul collo che mi ha fatto davvero male.
Da quel momento non ho più capito nulla: mi sono girato e l’ho presa a pugni più volte.
Lei aveva già avuto un trauma cranico e una volta caduta a terra sbattendo la testa ha cominciato a perdere sangue. Io ero troppo arrabbiato. Ho preso lo zaino e me ne sono andato lasciandola a terra mentre lei mi chiamava. Non mi è passato per la mente che lei stesse morendo.

Come mai non ho pensato che aveva bisogno di soccorso? Non so proprio dirlo.
Ero tutto preso da tutto quello che mi aveva fatto. Bastano pochi minuti, secondi di rabbia repressa per finire in carcere per anni. Una reazione di pancia dopo continui scontri si accumula: uno viene colpito e l’altro finisce in carcere.
Abbiamo perso entrambi. Lei è morta ed io sono stato condannato a 15 anni.
Oggi a distanza di 10 anni quello che è successo è ancora vivo dentro di me. Lo sarà per sempre.
Non posso restituire la vita a Rosa e non poter riparare è terribile.
Porterò dentro l’ergastolo a vita. Se qualcuno ascoltando il mio racconto pensa che in fondo Rosa se l’è meritato questo mi colpirebbe. Non è così. Non è quello che voglio dire.
Lei non era una santa ma non meritava di morire. Non avevo alcun diritto di toglierle la vita.
In carcere ho imparato cosa vuole dire essere assertivo. Ho imparato che in un momento di rabbia devo allontanarmi e scaricare altrove la mia rabbia.
Bisogna trovare il coraggio di allontanarsi se si vuole bene ad una persona.
Sento profondamente che la mia vita vale doppio. Vale anche per lei. Se potrò fare qualcosa in nome di Rosa lo farò.

Questa testimonianza è dedicata a Rosa e a tutti gli uomini che potrebbero trovarsi nella mia situazione e che spero possano fare qualcosa di diverso da quello che ho fatto io.

Lucho, 38 anni, operaio

 


L’ALLONTANAMENTO MI HA SALVATO


Mi sono sempre considerato una persona con un carattere forte, ma anche razionale, incline alla mediazione e sicuramente non violenta.
Dopo 12 anni di relazione con le difficoltà emerse con la nascita dei nostri due figli ero però arrivato al limite e non volevo accettare che la famiglia non funzionasse in modo perfetto.
Mettevo tutto quello che avevo, mi facevo andare bene quel che non mi andava bene ma non bastava.
Nel momento in cui in modo crescente nelle discussioni di coppia sono arrivate spinte, scappellotti e parole forti di disprezzo, la mia rabbia interiore ha avuto la meglio e, in maniera del tutto inaspettata e senza averlo pensato, ho risposto ad una botta con una testata sul naso, che l’ha fatta sanguinare creandole una lesione.
Sono rimasto sconvolto. Ne ho avuto vergogna, ma soprattutto paura.
Ho cercato di riparare come potevo, assistendola al meglio nella guarigione e scusandomi a ripetizione.
Per 2 mesi non ne ho parlato con nessuno, pensavo fosse una cosa da sotterrare e nascondere, mi dicevo: “mi ci ha portato lei e poi, nella vita passa tutto, passerà anche questa”.

Poi l’inatteso, una secchiata d’acqua fredda: la mia compagna richiede e ottiene il mio allontanamento da lei e dai bambini (l’allontanamento per chi non lo sapesse viene stabilito dal giudice, viene notificato dalla polizia e prevede per 6 mesi di rimanere lontano dai propri cari).
Eppure fino alla sera prima pensavo fosse tutto ok, ripetevo che avevamo sbagliato entrambi e che l’amavo.
La realtà era che nel tempo mi ero costruito un mondo parallelo tutto mio, in cui “la coppia ero solo io” e lei credevo ci sarebbe stata sempre per me, qualsiasi cosa fosse successa.
Da molto tempo e in modo regolare, la svalutavo e non mi sforzavo di comprendere i suoi pensieri e i suoi sentimenti più profondi, quanto fosse stata ferita e scioccata da come si era evoluta la nostra relazione negli anni.
Come uomo di business, applicavo alla nostra relazione lo stesso “campo di forza” che plasmava la realtà attorno a me, facendomi ottenere quel che volevo e che mi aveva aiutato sempre a raggiungere i migliori risultati.
Ma nelle relazioni personali il segreto non è solo la propria determinazione o la propria capacità di imporsi e la testardaggine, è piuttosto l’ascolto di sé e dell’altro, il rispetto e l’empatia.
Purtroppo prima di iniziare questo percorso dovuto all’allontanamento, prima che la nostra coppia si rompesse, non sapevo neppure cosa significassero queste parole. Esisteva il “solo io” per le esigenze e gli stati d’animo (che peraltro comprendevo e vivevo in maniera confusa) e per le colpe c’era “solo lei ”; poi ho iniziato gradualmente a invertire i ruoli.

Appena dopo l’allontanamento non capivo cosa stesse succedendo: mi sembrava tutto surreale e profondamente ingiusto.
Ma dopo qualche settimana ho sperimentato che il vuoto che sentivo era anche tempo per pensare, era l’unica maniera per permettermi di mettere a fuoco cosa era successo e dove eravamo arrivati, era l’unico modo per iniziare a vederla e ad ascoltarla veramente; non per finta.
La consapevolezza è arrivata progressivamente, ho iniziato a vedere via via tutti i miei errori ma anche da dove arrivavano: la mia umanità, i miei punti deboli e ho iniziato a riconoscerli perché facevano parte del mio modo di essere e non potevano essere ignorati.
All’inizio è stato difficile, duro, ma poi ho imparato a fare sempre più amicizia con me stesso, forse in maniera più vera e onesta, con benevolenza.
E ho iniziato anche a coccolarmi per prendermi cura di me, senza aspettare che lo facesse lei.
Avendo più ascolto verso di me, il mio corpo e i miei veri sentimenti, ho iniziato spontaneamente ad avere più ascolto e comprendere meglio i pensieri e sentimenti delle persone attorno a me, inclusa la mia ex compagna.
Solo un esempio: io che tendo molto a parlare e a “pontificare”, oggi riesco a fare silenzio e ad ascoltare di più e sento l’esigenza di fare molte più domande nelle relazioni, per conoscere il punto di vista dell’altro.
Banale ma vero. Paradossalmente la separazione, inizialmente per me “folle”, oggi ha creato una nuova coppia che prima non esisteva, fatta di due persone distinte, di due punti di vista, di domande vere all’altro, dove il punto di vista del compagno è importante quanto il proprio e da quello dipendono tante cose per entrambi.
Il rapporto si è arricchito e oggi riusciamo ad occuparci al meglio dei nostri bambini, che fortunatamente sono amati e seguiti al meglio da entrambi.
A prescindere dalla separazione che è seguita, siamo ancora una coppia, una coppia genitoriale che parla e si ascolta come prima non era riuscita a fare.

Da un momento brutto e difficilissimo sta nascendo un fiore, inaspettato direi.
Sono abbastanza sicuro che ne seguiranno altri, perché ho davvero sperimentato sulla mia pelle che c’è una potenza incredibile e magica nell’ascoltare e aspettare, senza voler imporsi sull’altro, lasciando spazi reciproci e accettando alla fine la profonda imprevedibilità, ma anche inattesa, bellezza della vita.

Roberto, 45 anni, imprenditore

 


SE L’AMI LASCIALA ANDARE


L’amore è la cosa più bella che possa capitarci ma come tutte le cose prima o poi finisce .

La nostra vita stessa ha un inizio e una fine.

Si può amare una persona, un animale, un amico …

Nella vita di coppia può capitare che dopo tanti anni di matrimonio uno dei due si stanchi o si renda conto di non amare più l’altro.

E’ successo più o meno questo a mia moglie quando già avevamo 3 figli di 8, 11 e 4 anni.

Io non riuscivo ad accettarlo.

La seguivo, le chiedevo con insistenza di poterle parlare.

Avevo brutti pensieri: pensavo avesse un’altra persona…era geloso se solo beveva un caffè con un suo collega e vedevo cose non vere, mi facevo il film che uscisse con questo ecc..

Ero talmente in uno stato confusionale che le mandavo messaggi di continuo, alternando messaggi d’amore a messaggi di minacce.

Mi facevo trovare sotto il suo posto di lavoro e le proponevo di fare colazione insieme.
Le mandavo spesso dei fiori.

Ero già contento se solo la vedevo; questo attenuava il mio dolore.

Per me era come fosse un gesto d’amore nei suoi confronti, come se dicessi “io sono qua, stai sbagliando tutto!”.

Lei aveva cominciato a cambiare le sue abitudini uscendo prima o dopo dal lavoro per non incontrarmi.

Io  vivevo come una sfida il pedinamento: ero talmente preso che a volte stavo a casa dal lavoro per ricercarla.

Mi torturavo costringendomi a prendere un due di picche di continuo pensando a lei giorno e notte, stavo malissimo.

Ero così nervoso che litigavo con tutti per esempio in discoteca, cercavo la rissa apposta per sfogarmi.

Sono seguite denunce ripetute per stalking.

La mia esperienza mi ha trascinato in carcere con una condanna a 4 anni:

3 giorni di custodia cautelare in carcere, 9 mesi di arresti domiciliari a casa e 1, 4 anni di carcere già scontati ad oggi.

E’ stato dopo i pochi giorni di custodia cautelare, terribili perché pensavo di non uscire più, che l’assistente sociale mi ha vincolato a fare i colloqui con lo psicologo, mandandomi a casa con gli arresti domiciliari, in attesa della sentenza.

E’ stata la mia salvezza essere seguito: mi ha fatto vedere le cose in un modo diverso, mi ha aiutato a vedere il bicchiere mezzo pieno e non solo mezzo vuoto; mi ha aiutato a vedere anche i difetti della mia compagna e non solo pregi che ero impegnato a rimpiangere, così come mi ha permesso di vedere i miei pregi  e non solo i miei difetti su cui mi piangevo addosso.

Ho imparato a guardare tutto l’insieme e a rendermi conto che essere così fissato per una donna era una cosa malata.

Ho anche lavorato sull’impulsività.

Ricordo l’esempio, che mi è rimasto impresso,con cui lo psicologo mi diceva che c’è sempre una via d’uscita: se sei in autostrada e perdi l’uscita giusta, non sei obbligato a continuare sulla strada sbagliata, puoi sempre uscire al casello successivo e tornare indietro.

Il carcere stesso che è seguito agli arresti una volta definitivo ha avuto il suo senso.

In carcere c’è tanto tempo per pensare e ti fai delle domande che fuori nella confusione non ti faresti.

Pensi anche ad alcune cose di quando eri piccolo, alla tua famiglia non solo al presente.

E ho capito questo: se ami una donna e lei non ti vuole più, se la ami veramente, lasciala andare.

Lo so è dura! E’ normale che  un uomo innamorato si senta sconfitto o abbandonato.

Già la separazione si vive come un lutto gravesoprattutto se si hanno dei figli ; a maggior ragione bisogna essere forti, non dare dispiacere ai propri figli: nessuna violenza, nessuna ripicca.

Se ti chiudono in galera  non fai altro che farti del male e perderti quanto la vita ti offre.

C’è sempre un strada nuova magari anche migliore .

Prima di fare violenza, anche psicologica come la mia, rifletti e mettiti al posto della tua compagna.

Chiediti perché la tua donna ti ha lasciato. Qualche errore lo facciamo anche noi uomini no?!

Rifletti tu che leggi queste righe: se ami una donna lasciale vivere libera la sua vita

e cerca per te le alternative che la vita ci offre.

Giuseppe, 45 anni, portiere ospedaliero

 


I SEGNALI C’ERANO


In che modo la mia esperienza può essere utile ad altri uomini?
Nel mio caso ci sono stati tantissimi piccoli allarmi che nessuno ha colto o che non ha voluto cogliere pienamente.
La mia compagna durante un periodo di riflessione , scelto da lei dopo 12 anni di relazione e il mutuo della casa appena intrapreso, si era recata dal maresciallo del piccolo paese in cui vivevamo dicendo che: “mi vedeva strano e aveva un po’ paura del mio comportamento”.
Il maresciallo le aveva chiesto se l’avevo minacciata o le avevo alzato le mani e, non essendo accaduto tutto questo, le aveva detto che non poteva fare nulla.
Ma mi chiedo, bisogna aspettare che si facciano danni?
Sarebbe stato meglio che le avessi dato uno schiaffo, lasciandole un segno per essere arrestati?
L’unica volta in cui l’ho aggredita è stata quella tragica mattina in cui, dopo l’ennesimo litigio, ho preso il fucile che tenevo a casa per il ladri, per spaventarla e le ho sparato.

La cosa mi è sfuggita di mano perché, non essendo esperto, ho puntato alle gambe ma per il contraccolpo ho colpito un punto vitale.
Non voglio cercare scuse. Il punto è che non lo avevo premeditato il fatto!
Se qualcuno mi avesse impedito di tenere a casa il fucile durante quel periodo difficile… Il maresciallo avrebbe dovuto sequestrarmelo!
Anche una coppia di amici , venuti a cena da me circa un mese prima del fatto, mi aveva visto il fucile che tenevo per difesa e mi aveva suggerito di liberarmene.
Perché non hanno verificato che io lo avessi dato via?
Se si erano preoccupati , come hanno poi detto al processo, perché non sono andati dal maresciallo a segnalarlo?
Io non ero proprio in me, non mi ero reso conto che tenere un fucile in casa, non essendo poi un esperto nello sparare, era pericoloso di per sé, soprattutto in quello stato rabbioso in cui ero.
In modo scherzoso davanti a loro, avevo addirittura detto che lo tenevo per la mia compagna e il suo amante.
Non mi ero reso conto di cosa stava dietro a quel pensiero.
Non avevo preso atto neppure di cosa intendevo quando mi dicevo “gliela farà pagare”.
Perché non hanno insistito con me?
Perché non mi hanno fatto notare che era pericoloso quello che avevo detto? Avrebbero salvato sia lei che me.
Come ho potuto poi non accorgermene io stesso? Non so proprio dirlo.
Avrei mille volte preferito che me lo avessero sequestrato e che mi avessero arrestato, piuttosto che fare quello che ho fatto e a cui non posso riparare.
Anche le amiche della mia compagna, a cui lei aveva confidato che aveva paura , non hanno fatto nulla.
Perché la paura di una donna viene cosi sottovalutata e non conta come segnale d’allarme?

Non capirò mai poi perché la mia compagna, avendo paura di me, sia venuta da sola in quella che era stata casa nostra per prendere alcune sue cose.
Io mi sentivo che non era una buona cosa, le avevo detto di non salire e di tornare in un altro momento.
Temevo un litigio e avevo detto a mio figlio sedicenne di uscire, per non coinvolgerlo.
E anche mio figlio non ha pensato che non doveva lasciarmi solo? Poteva avvisare i miei fratelli se non sapeva cosa fare.
Avevo chiesto aiuto anche al fratello di lei per parlarle, ma lui aveva pensato che fossero fatti personali per cui non poteva intervenire.
Ma quando vogliamo intervenire, quando è troppo tardi?
Troppe domande a cui non trovo risposta.
Lei non doveva sottovalutare la sua paura e venire da sola da me, e io dovevo ascoltare il brutto presentimento che avevo e piuttosto lasciarla lì da sola e uscire di casa, invece che cercare di mandarla via.
Ero troppo furioso del fatto che mi avesse fatto comprare casa per poi lasciarmi lì come un cretino col mutuo e che avesse un amante continuando a negare di averlo.
Per lungo tempo ho pensato che mi ci avesse portato lei a quel punto e che io avessi delle ragioni.

Ora , dopo aver fatto un percorso, la penso diversamente: un tradimento non giustifica il togliere la vita a qualcuno e il peso del mutuo non è paragonabile al peso dell’aver ucciso una persona che si ama.
Ogni volta che un marito uccide la moglie, per me è come riaprire una ferita.
L’unica cosa che ci può salvare e che chiunque senta o veda un comportamento strano di un marito nei confronti della moglie lo segnali , lo denunci e la donna possa essere allontanata, anzi sarebbe meglio allontanare lui.
Mi consola in questa tragedia, e per questo desidero condividerla con voi, una lettera molto intima che mia cognata mi ha scritto a sei mesi dal fatto in risposta alla mia richiesta di perdono: “noi ti abbiamo visto sempre come un brav’uomo e non ci hai mai creato dei problemi e non ho dimenticato quando sei intervenuto in mia difesa…umanamente abbiamo capito la situazione perché ci avevi chiesto aiuto ma il gesto ci ha bloccate le menti… ma non il cuore… Noi non ti odiamo e il perdono più grande è quello di Dio e poi c’è la speranza che col tempo Dio aiuti noi a perdonare il tuo gesto ….”.

I gesti peggiori possiamo farli anche noi che non siamo delinquenti.
Quindi da tutto quello che ho scritto è chiaro che “i segnali c’erano” nel mio caso e ci sono secondo me sempre, se si hanno gli occhi per vederli.
Come posso concludere?
Voglio chiedere perdono a tutte le donne, alla famiglia di colei a cui ho tolto la vita e a lei stessa ,ovunque sia.

Raffaele, 53 anni, falegname
Condannato a 30 anni per l’omicidio della compagna

 


LE CONSEGUENZE DELL “AMORE”


L’amore…
Un dono che si desidera e che quando arriva sbilancia perché destabilizza le tue certezze, perché hai a che fare con una persona, una dinamica che può sedurre ma anche distruggere.
La consapevolezza è il riconoscere segnali che possono portare a conseguenze dell’“amore” non gestibili.
Ho avuto per oltre un anno una relazione pericolosa con una donna.
Giustificavo alcune mie o sue reazioni giuste, perché avevo paura di perderla.
Mi dicevo “ma si dai in una relazione, un insulto, uno schiaffo, un pugno, uno sputo in faccia a volte ci può stare…”.
A volte mi chiedevo se tutto questo fosse giusto… Per correttezza dei fatti, davo e ricevevo botte ed insulti.
A volte era lei a partire con spintoni o sputi o schiaffi anche se ai tempi non mi rendevo conto che io potevo farle molto più male per la diversa forza fisica.
Fortuna mia ho cominciato una terapia durante questa burrasca, e dopo alcune sedute sono riuscito a vedere una
luce che mi ha permesso di avere una distanza maggiore da questa situazione.
Ho deciso di attuare questa modalità:Riconoscere quali sono i miei limiti di sopportazione e allontanarmi dalla situazione di pericolo, che non vuol dire non affrontare il pericolo stesso,ma riconoscerlo, e dandoun taglio al groviglio che non si scioglie, lasciarlo scivolare dietro di sé.
Mi è capitato dopo questa esperienza “malata” di aver avuto altre relazioni di cui un importante proprio l’anno scorso.
Mi sono trovato di fronte ad una donna che in due giorni ha cambiato parere 3 volte rispetto al volere tenere in piedi la nostra relazione o meno.
A questo punto, per il bene che le ho dato e che ho ricevuto, ho capito che era meglio che le nostre strade si separassero.
Se facciamo un parallelo con una gara di bici se tu desiderifare una scalata però la persona che ti sta vicino possiede una velocità diversa dalla tua, puoi aspettarla per vedere se le “velocità” si possono sincronizzare.
Ma se ciò non succede la devi lasciare andare.
Riconoscere i propri bisogni diversi è salutare per sè e per chi ti sta vicino.Voler bene, vuol dire NON POSSEDERE ma lasciare andare, riconoscendoche la persona che hai amato può avere ossigeno e amore sia senza di noi che da altri.
Non è facile all’inizio ma questa scelta ti rende più leggero e ti dona una consapevolezza del VOLER BENE diversa e MIGLIORE.
Mi è capitato di recente di incontrare un altra donna che ha bisogno di aiuto.
Lei ha subito gravi ferite perché picchiata dal suo compagno.
Lei però resiste dal togliersi da questo vortice “d’amore malato”, perché continua a desiderare questo amore non avendo mai provato una profondità di scambio mentale come questo.
Questa profondità ha però un costo elevatissimo e, se non presa in tempo, potrebbe portarla a gravi conseguenze.
Anche gli amori pericolosi sono seduttivi come le sirene.
Sto facendo di tutto perché questa persona richieda aiuto e diventi consapevole del pericolo a cui sta andando incontro.
Posso solo portare questa mia esperienza sul fatto che una terapia, come forma di prevenzione, mi ha salvato la vita, evitandomi conseguenze gravissime, per un futuro che mi avrebbe fatto vivere l’INFERNO AD OCCHI APERTI.
Ora sono nuovamente in sella alla mia bici e mi godo la brezza del vento cercando la mia strada.

M da Milano, 42 anni, pasticciere

 


LA TELEFONATA CHE AVREI VOLUTO FARE


Uomo: Pronto non so perché ho telefonato… ma è successo ancora anche se non è niente di grave…
Linea: Mi può raccontare cos’è successo?
U: Guardi, io non sono un violento, ci tengo a precisarlo, ma dopo l’ennesima scenata della mia compagna ho esagerato… ho perso le staffe e le ho dato un ceffone e perdendo l’equilibrio è caduta sul braccio e se l’è fratturato.
Mi sento in colpa.
L: Adesso come sta la sua compagna?
U: Non mi parla, anche se le ho spiegato che è stato un incidente e le ho giurato che non capiterà mai più. Per fortuna i bambini non hanno visto, erano nell’altra stanza.
Io l’amo ho avuto solo sfortuna.
L: All’inizio della chiamata mi pare abbia detto “è successo ancora”.
Ha già perso il controllo con la sua compagna?
U: Sì, ma una cosa da niente, le diedi due schiaffi perché lei mi aveva dato un ceffone.
L: Bisognerebbe trovare un’ alternativa a questo comportamento, non crede?
U: Ma non succederà più, io non ho mai fatto del male ad una mosca.
E’ solo un momento di nervosismo… non sono un mostro.
L: Nessuno pensa che la violenza possa degenerare prima che ciò accada.
U: Ho paura che non voglia perdonare, ma io non posso vivere senza di lei.
E’ il mio scoglio in mezzo ad un mare di solitudine.
Pensare di perderla annienta la mia vita.
Sono senza via d’uscita.
L: Siamo qui per darle una mano.
U: Lei la fa facile, ma il mondo mi crolla addosso… non posso permettere che pochi gesti cancellino tutti i momenti belli passati assieme.
Sono disperato non posso stare a guardare…
L: Si faccia dare una mano.
Una via d’uscita esiste e la possiamo trovare insieme.

Scritto di A. C., recluso presso la Casa di reclusione di Mi-Opera per l’omicidio della ex fidanzata, perché altri possano fare la telefonata che lui non ha fatto.

 


NON HO SCUSANTI


Mi vorrei chiamare nessuno ma non è giusto nascondersi dietro una maschera per quello che ho fatto .
E’ giusto che mi chiami col mio nome Karl anche se provo disprezzo per l’efferato reato che ho compiuto.
E’ giusto che sconti la mia pena come il minino che devo a mia figlia rimasta orfana e alla mia piccola mai nata.
Quella tragica giornata dopo la notte insonne a cercare un modo per pagare il mio debito.
Era la prima volta che le mettevo le mani addosso, lei non voleva più saperne di del mio problema col gioco.
Durante la discussione , quando lei era a terra e la nostra prima bambina chiamava papà, mamma!
E io la portavo nel soggiorno dai suoi giochi…. Avrei dovuto fermarmi!
Con lei in braccio avevo pensato di chiamare aiuto.
Poi non so come sono tornato da lei. Lei si era ripresa, ha avuto un attimo di reazione e mi ha colpito.
Lì non ho più ragionato e i miei pensieri si sono spenti.
Non avrei mai pensato di poter arrivare a tanto.
Sono convinto, ora ne sono certo, che la mia compagna mi abbia colpito perché aveva paura, per difendere lei e la nostra bambina.
Lei era coraggiosa.
Quando l’ho vista a terra con i suoi occhi azzurri aperti che mi fissavano dicendomi: “amore cos’hai fatto a me e alla nostra bambina?!”.
Non ho risposta.
Le ho chiuso gli occhi per pietà o forse perché quella domanda mi assilla.
Provo disprezzo per quello che ho fatto.
E noi uomini che siamo artefici di queste violenze ci siamo chiesti perché le nostre compagne o mogli non ci abbiano lasciato visto che erano ancora in tempo?
Ci amavano ne sono certo.
Non perdo mai una puntata di “amore criminale” per cercare di capire perché è accaduto e perché è accaduto a me!
Ho dato il mio consenso perché parlassero anche della mia storia e speravo, come parte di chi fa del male, che questo mi aiutasse a capire… ma quel che è successo dentro di me li non c’era.
Non trovo risposta.
Non smetto di cercarla.
Gli altri detenuti mi dicono che devo dimenticare ma non è possibile.
A volte non si riesce a controllarsi bisogna ammetterlo.
Invece di fingere di essere superiori bisogna confrontarsi faccia a faccia con il fantasma dell’abbandono, con la paura di restare soli che ci fa aggrappare ad un’immagine ancora prima che ad una persona reale.
È impensabile riuscire a farcela da soli, si ha bisogno di aiuto per sbrogliare questa matassa ingarbugliata.
Io sono il primo ad ammetterlo.
Spesso non si da il dovuto aiuto e la necessaria attenzione alle coppie o singoli che chiedono aiuto.
Non bastano i cinque minuti nell’anticamera piena dello psicologo, non sono bastati a me e a lei.
Ci si illude di poter risolvere la situazione in famiglia, con la complicità o l’omertà dei familiari e quel che sembra una piccola lite familiare si trasforma in una tragedia di dimensioni irreparabili.
Da soli non ce la facciamo.
A volte senza saperlo, anche le persone comuni contribuiscono a queste tragedie, non intervenendo neppure con una telefonata alle forze dell’ordine, perché pensano che non è cosa loro.
Se solo sapessero i nostri vicini che con noi forse avrebbero potuto evitare …Non ci sono giustificazioni, è impensabile quello che ho fatto: togliere la vita alla mia compagna , alla piccola che portava in grembo, lasciando orfana la mia Cucciolina.
Chi mi giudicherà è lei, a cui un giorno dovrò rendere conto del male che le ho fatto.
Mi manca la mia compagna, perdonami amore mio!
Le scrivo ogni giorno e questo mi tiene in vita.
Tengo tutte le lettere mese per mese, anno per anno.
Per la festa della mamma le ho scritto alla più bella e buona mamma del mondo.
Per colpa mia non lo puoi più essere.
Non trovo le parole per chiedere perdono.
Non ci sono.
Quando capita di sognarti il mio risveglio è avvolto da tristezza e rabbia.
Non ho rispettato la mia promessa e il mio dovere di proteggerti e di renderti felice.
Ora mia amata saluto te e la nostra piccola che è con te.
Alla nostra Cucciola invece , la mia Principessa, dovrò spiegare una volta uscito dal carcere.
La nostra cucciola mi ha scritto mi manca la mamma e la sorellina Ricordo le risate che vi facevate assieme.
Il tuo papà non finirà mai di chiederti perdono.
Ma alla psicologa che voleva sapere hai detto lo sappiamo solo io e papà quello che è successo.
Volevi proteggermi piccolina mia?
Questa testimonianza per dare un mio contributo, come di chi ha fatto del male e non vuole che altri lo facciano.
Grazie per l’ascolto e per chi si interessa a queste tragedie.
Karl

Scritto di Karl, recluso per l’omicidio della moglie all’ottavo mese di gravidanza.

 


NON MI RENDEVO CONTO


Ti sei reso subito conto di aver commesso qualcosa di anomalo?
no,non mi rendevo conto,avevano sbagliato e dovevano pagare almeno così pensavo

Che tipo di reazione avevi tu dopo quei comportamenti e che reazione hanno avuto loro?
facevo finta di nulla,e cercavo di far pace,loro piangevano,e tenevano il muso. La prima moglie come dicevo mi ha lasciato.

A quell’episodio, ne sono seguiti altri?
sì,ogni tanto,anche per stupidaggini,lo rifacevo,poteva passare un mese come un anno oppure due.

Che tipo di violenza ponevi in essere nei confronti della tua compagna, esattamente?
violenza fisica,poi ultimamente mi sono reso conto che usavo anche una violenza psicologica tipo che non le davo soldi per fare nulla… io dovevo provvedere e fare,e poi fiducia zero… la isolavo dalle vecchie amicizie,praticamente la facevo restare sola.

Cosa scattava nel tuo cervello in quei momenti, cosa ti spingeva a comportarti così?
scattava come una molla quando c’erano dei diverbi,se non riuscivo a zittirla con le parole,passavo alle mani.

Ti definiresti un uomo “moderno”, dalla mentalità “moderna” o ti senti più figlio di una cultura patriarcale?
io sono una persona molto aperta,ma si vede che sotto sotto sono un patriarca.

Che ruolo credi debba avere una donna all’interno di una relazione di coppia?
ora,penso che la donna sia,la parte pensante,e di cui prendersi cura, con cui condividere tutto,senza se e senza ma: quella che ti aiuta,e tu aiuti,colei che ti completa.

Cosa non sopportavi, cosa ti infastidiva maggiormente della tua ragazza?
il continuo chiedermi cose,farmi sempre le stesse domande,e l’incalzarmi in certi discorsi scomodi

Quando hai deciso di rivolgerti a qualcuno per farti aiutare?
l’ultimo episodio di violenza,era stato più pesante del solito,l’avevo picchiata parecchio,e buttata fuori di casa alle 3 di notte,(non aveva nessuno a cui rivolgersi). Io mi ricordavo che le avevo dato 2 schiaffi,e l’avevo mandata Via ma non era andata proprio cosi…il giorno dopo,mi sono svegliato,e ho fatto la mia solita vita,lei se ne era andata… per me non c’era problema,aveva sbagliato,e doveva pagare. La notte dopo,verso le 3,mi sono svegliato,e ho capito quello che avevo fatto,ho ripensato alla mia vita,e ho capito che ero un mostro,ho pensato,che da solo non avrei potuto farcela,e ho chiesto aiuto ad un centro antiviolenza che mi ha indirizzato ad un centro per gli uomini.

Che esperienza è stata all’inizio, cosa hai provato al primo incontro?
al primo incontro avevo vergogna,ho raccontato tutto,e ho avuto subito fiducia della psicologa del centro,sono uscito sollevato.

Ti definiresti cambiato rispetto a prima?
Sì,penso di essere cambiato,sono più riflessivo,e soprattutto ho imparato a conoscermi,a capire quando devo fermarmi e riflettere da solo ad essere meno padre padrone,ma più compagno.

Qual è stata la cosa più importante che hai scoperto di te e imparato in generale durante questi incontri?
ho imparato a riflettere,a fidarmi di più della mia compagna,e soprattutto a conoscere me stesso,più self-control, non solo nella vita affettiva ,ma anche fuori.

Cosa consiglieresti agli uomini nella tua situazione?
di farsi aiutare,anche se si pensa di aver ragione,il dialogo,è l’unica cosa da fare con le vostre compagne. Le mani si usano solo per le carezze,e nessuno è onnipotente. Parlate,parlate,e siate complici delle vostre compagne.

Cosa consiglieresti alle donne?
le donne dovrebbero essere molto diplomatiche e cercare di far capire al proprio partner,che non è pazzo,che un aiuto potrebbe risolvere parecchie situazioni spiacevoli. Anche se all’inizio parlarne con la compagna ti mette in imbarazzo,e vorresti solo cancellare dalla memoria l’accaduto.

Per quale motivo secondo te si verificano questi episodi di violenza maschile? Ti sei fatto una tua idea in proposito?
“così impara a mettersi contro di me… pensa di essere più intelligente di me quella stupida”, si pensa. Fondamentalmente credo sia una questione di insicurezza,l’uomo non vuole essere sminuito,e siccome non può combattere con gli argomenti,si impone con la forza,pensando che sia la cosa giusta. Ma non lo è. Io ho avuto la fortuna di capirlo.

M da Brescia, 44 anni,muratore
Sara Ficocelli Intervista Donna Modern
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